Mascherina e disfonia: quali rischi per la nostra voce?

L’Emergenza Covid-19 ha portato a grandi cambiamenti: è cambiato il nostro modo di lavorare, di andare a scuola, di stare con i nostri cari.
Le regole che dobbiamo seguire, come spesso ci viene ricordato, sono 3:

  1. Distanziamento sociale
  2. Igienizzazione delle mani
  3. Utilizzo della mascherina

Ed è proprio su quest’ultimo punto che oggi faremo un approfondimento.

Parlare con la mascherina rappresenta una modalità di comunicazione del tutto nuova per noi occidentali. Ci siamo accorti di quanto sia importante poter osservare la bocca dell’altro per capire quello che sta dicendo. Inoltre, la mascherina rappresenta una barriera fisica, che modifica il suono della nostra voce e ne riduce il volume.

Ci troviamo dunque ad alzare la voce più del solito quando parliamo con gli altri, che si trovano anche più lontani da noi, nel rispetto del distanziamento sociale. Chi parla a lungo con la mascherina si ritrova a fine giornata o a fine settimana con la gola secca e la voce rauca.

Ma la mascherina aumenta davvero il rischio di disfonia?

Secondo la letteratura scientifica sì. Uno studio di Vanessa Veis Ribeiro et al. (2020) ha dimostrato che indossare la mascherina aumenta la percezione di sforzo nel parlare, riduce il feedback uditivo della nostra voce, riduce la capacità di coordinazione tra respiro e vocalizzazione e la comunicazione risulta, complessivamente, meno comprensibile. Tutti questi fattori aumentano la probabilità di sviluppare una disfonia, cioè un disturbo della voce, soprattutto in professionisti che ne fanno ampio uso durante la giornata (es. medici, infermieri, riabilitatori, insegnanti, ecc.).

Cosa possiamo fare per proteggere la nostra voce?

Sicuramente idratarsi adeguatamente (almeno 1,5-2 L di liquidi al giorno) e comunicare il più possibile in ambienti tranquilli, privi di rumori, per evitare di alzare la voce. È possibile inoltre sostenere un percorso di educazione vocale con il logopedista, al fine di imparare una corretta modalità di comunicazione.

 

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Logopedia online: le 10 domande più frequenti

In un periodo complesso come quello che stiamo vivendo ormai da diversi mesi a causa dell’Emergenza Covid-19, anche il mondo della riabilitazione si è dovuto adattare. Molti professionisti proseguono con le terapie in presenza (dotati ovviamente di tutti i DPI: mascherine, visiere, guanti,…), altri, invece, hanno scelto di portare online le proprie terapie.

Ciò ha sollevato molte domande e obiezioni da parte di pazienti e famiglie, in particolare quando si parla di bambini.
Abbiamo quindi voluto raccoglierne alcune che ci sono state poste negli scorsi mesi e a cui vogliamo rispondere.

 

1. Il trattamento logopedico online è efficace come quello in presenza?

Sì, il trattamento logopedico online è efficace ed è paragonabile alla terapia classica in presenza. Numerosi studi presenti in letteratura scientifica e condotti ben prima dell’Emergenza Covid-19 (già 10 anni fa!) hanno mostrato come i risultati nelle due modalità siano pressoché sovrapponibili.

 

2. Come fa a essere efficace se non c’è contatto e si sta dietro a un computer?

Le modalità delle sedute ovviamente sono molto diverse, soprattutto se il lavoro coinvolge i bambini. Nelle sedute in presenza, normalmente, il genitore rimane fuori dalla stanza, mentre nelle sedute online la mamma o il papà diventano attori importanti del percorso. Non solo aiutano il bambino a connettersi tramite i dispositivi, ma possono partecipare agli incontri e apprendere le modalità e i suggerimenti del logopedista. Con i ragazzi più grandi e con gli adulti, invece, la modalità è molto simile a quella in presenza.

 

3. Il mio bambino è molto piccolo: può fare terapia online?

Ogni caso è diverso. Se il bambino è molto piccolo, le sedute possono essere ridotte nella loro durata oppure si può dedicare una parte della seduta al parent training logopedico, attivando così un trattamento misto (diretto e indiretto). In questi casi è importante che il logopedista sappia cogliere gli interessi del bambino e le sue capacità attentive. Sarà, quindi, sua premura offrire un percorso altamente personalizzato, che rispetti le esigenze del bambino e della sua famiglia.

 

4. Cos’è il parent training logopedico?

Il parent training logopedico, molto utilizzato nella teleriabilitazione, è un percorso in cui il logopedista effettua dei colloqui con i genitori e suggerisce, in modo personalizzato, materiali, strategie e modalità da proporre e utilizzare con i propri figli, al fine di potenziare le aree di fragilità e sostenere i loro punti di forza.

 

5. Mio figlio può fare terapia logopedica online anche se la didattica a distanza con asilo/scuola è (o è stata) “un disastro”?

Tanti genitori hanno sollevato questa obiezione, soprattutto per l’età prescolare. Durante il lockdown primaverile, le connessioni con la scuola e l’asilo sono state spesso molto difficili e per questo temono che anche la terapia logopedica a distanza non sia adatta.
A differenza della didattica a distanza, però, la terapia logopedica si costruisce nella relazione 1 a 1, in tempo reale, e utilizza modalità altamente personalizzate, interattive e coinvolgenti. Il logopedista sceglie attività adeguate alle caratteristiche del singolo bambino e utili al raggiungimento degli obiettivi.

 

6. Mio figlio non riesce a stare attento 5 minuti sul tablet e quando videochiamiamo i nonni scappa subito via. Può fare logopedia online?

Certo che sì. Il logopedista che si relaziona con bambini che hanno difficoltà attentive o che sono poco interessati al mondo del digitale proporrà giochi e attività che partono dai loro interessi. Al bisogno, si potrà variare la durata della seduta e integrare l’intervento diretto con quello indiretto del parent training. Anche in questi casi, il logopedista saprà personalizzare l’intervento in base alle esigenze del bambino e della sua famiglia.

 

7. Si possono fare valutazioni in modalità online?

Ogni situazione è diversa ed è necessario accoglierla nella maniera più adeguata possibile. A seconda della problematica riportata, sarà cura del professionista spiegarvi come verrà condotta la valutazione. In alcuni casi, quindi, la valutazione potrà essere effettuata interamente online, in altri, invece, potrebbe essere necessario integrare le sedute da remoto con degli incontri in presenza.

 

8. Si possono cominciare nuovi trattamenti in modalità online?

Sì. I percorsi cominciano generalmente con un primo colloquio con il paziente (se maggiorenne) o con i genitori. In questo primo momento si indaga qual è l’esigenza della persona o della famiglia e il logopedista spiegherà in cosa può essere utile. Nel caso fosse indicato, sarà poi possibile cominciare un trattamento e le modalità verranno concordate in modo specifico con la famiglia.

 

9. Quali sono gli strumenti migliori per la terapia online?

Tutti i dispositivi digitali possono essere utilizzati per sostenere una terapia logopedica online. Il computer e il tablet sono maggiormente indicati perché i bambini risultano più coinvolti quando lo schermo è più grande, rispetto a quando usano lo smartphone. Il PC, inoltre, consente di utilizzare programmi che rendono più interattive le attività. In ogni caso, è importante che il paziente, bambino o adulto che sia, svolga la seduta in una stanza tranquilla e isolata dal resto della casa.

 

10. Come posso sapere se la terapia logopedica online fa per me?

La logopedia si occupa di ritardi e disturbi del linguaggio, di disturbi dell’apprendimento, di disturbi della deglutizione, della voce e della fluenza (balbuzie), in età evolutiva e adulta. È possibile contattare direttamente il professionista per spiegare la propria esigenza e chiedere come sostenere una terapia online.

 

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Festival di Sanremo: come prendersi cura della propria voce?

L’incubo dei cantanti in gara al Festival di Sanremo è quello di non potersi esibire per un improvviso calo di voce.

Ma anche per chi non ha l’obiettivo di salire sul palco dell’Ariston, la voce è un bene indispensabile per la vita di tutti i giorni. Alcuni professionisti si trovano a fare i conti con la raucedine.

In particolare insegnanti, conduttori e giornalisti radiotelevisivi, operatori di call center, personal trainers, commessi di negozio…. Ma può capitare a chiunque di sforzarsi e a trovarsi afoni!

Cosa fare, allora, per proteggere la propria voce ed evitare di farsi male? 

Bisogna conoscere strategie e comportamenti utili per limitare i danni e per condurre una vita lavorativa serena. In generale, è importante bere la giusta quantità di liquidi (1,5-2 L al giorno), mangiare senza appesantirsi prima di lunghe performance vocali (ad es. telefonate, meeting), evitare di coprirsi/scoprirsi eccessivamente quando ci sono bruschi cambiamenti di temperatura, fare attività fisica e mantenere uno stile di vita sano.

Anche l’ambiente va controllato. L’aria umida contribuisce a una corretta idratazione delle corde vocali. Quando non è possibile modificare l’umidità degli ambienti, possiamo bagnare un fazzoletto di carta e metterlo sopra la bocca e il naso, oppure riempire una ciotola d’acqua e lasciarla evaporare sul calorifero o nella stanza.

Per indicazioni più precise e personalizzate è consigliata la consultazione di un logopedista.

Mio figlio ha difficoltà di linguaggio perché parliamo due lingue?

La letteratura scientifica ci dice che l’apprendimento precoce di due o più lingue non è fonte di confusione per i nostri figli.

Già durante la gravidanza, infatti, il bambino è predisposto naturalmente all’ascolto di qualunque suono linguistico. Questa inclinazione continua anche dopo la nascita, ma con il tempo il cervello del bambino si allena a riconoscere solo la lingua dei suoi genitori. Nel caso di genitori bilingui, il bambino continuerà a riconoscere tutte le lingue che si parlano in casa.

Spesso, però, possono presentare un lieve ritardo nell’acquisizione del linguaggio. In questi casi, non è detto che ci si debba preoccupare: il bambino, infatti, è impegnato ad imparare non una, ma più lingue nello stesso momento. E questo richiede tempo. Come interpretare, dunque, l’abitudine di scambiare suoni, parole o espressioni delle due lingue (code-mixing)? Si tratta della conseguenza, assolutamente naturale, di imparare più di una lingua contemporaneamente.

Nel caso di ritardo o disturbi di linguaggio, tale difficoltà si manifesterà in tutte le lingue parlate dal bambino. Eventuali mancanze sono spesso il risultato di una predisposizione del bambino e/o di una ridotta stimolazione da parte del contesto sociale, non conseguente quindi al bilinguismo.

In caso di dubbio, è indicato il consulto presso uno specialista.

CERTIFICAZIONE DSA: COS’È E CHI LA EROGA

Imparare a leggere, scrivere oppure a risolvere un calcolo non è sempre un percorso semplice. Talvolta si manifestano difficoltà nei primi mesi di scuola, che si risolvono nel tempo grazie all’aiuto di insegnanti e genitori. Quando però queste difficoltà rimangono nel tempo, potrebbe trattarsi di un Disturbo Specifico di Apprendimento (DSA: COSA SIGNIFICA?).

La Legge 170/2010 sottolinea la necessità per i bambini coinvolti di ricevere diagnosi rapide e affidabili tramite una Certificazione, che definisca anche percorsi di trattamento efficaci e personalizzati. Nella Certificazione vengono indicati inoltre eventuali strumenti compensativi e dispensativi, da applicare in ambito scolastico attraverso il PDP (Piano Didattico Personalizzato).

I professionisti che erogano Certificazioni di DSA sono esclusivamente:

  • I servizi di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza pubblici (UONPIA)
  • I servizi di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza e servizi di riabilitazione dell’età evolutiva privati accreditati
  • Le équipe di professionisti autorizzati dalle ATS (Agenzia di Tutela della Salute) della Regione Lombardia a effettuare la prima certificazione diagnostica dei DSA, con spese a carico della famiglia

I professionisti autorizzati possiedono formazione teorica specialistica ed esperienza nella pratica clinica della valutazione e del trattamento dei DSA. Tali équipe sono obbligatoriamente composte da tre figure professionali (neuropsichiatra infantile, psicologo e logopedista), che valutano il caso secondo le proprie competenze, in modo integrato e coordinato.

Studio Colibrì, grazie alla collaborazione con medici specializzati in Neuropsichiatria Infantile, costituisce l’équipe n° 65 del territorio Rhodense Milano-Ovest della ATS della Regione Lombardia.

 

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Ritardo di linguaggio: quando consultare uno specialista?

Lucia ha compiuto 2 anni lo scorso mese e ancora non ha detto la sua prima parola.
Stefano, 2 anni e mezzo, dice solo una decina di parole e fatica a comprendere quello che mamma e papà gli dicono.
Sara ha 3 anni e non riesce a formulare una frase completa, ma si fa capire con i gesti.
I genitori di questi bambini spesso si sentono dire “è presto per la logopedia, con l’asilo verrà stimolato e risolverà il problema”.

Naturalmente esiste una certa variabilità nei tempi di crescita e sviluppo: ogni situazione è da considerarsi nella sua globalità. Esistono, però, tappe piuttosto precise per l’apprendimento linguistico, che tutti i bambini devono raggiungere per parlare correttamente.

Ritardo di linguaggio, di fatto, non implica una diagnosi, ma rappresenta una condizione di difficoltà nell’apprendimento del linguaggio nelle sue varie componenti (pronuncia, vocabolario, strutturazione della frase, comprensione). Quando però il bambino mostra ancora difficoltà oltre i 3 anni, si può iniziare a parlare di disturbo di linguaggio.

In risposta alle sempre più precoci segnalazioni da parte di genitori ed educatori, si può affermare che non è mai troppo presto per consultare uno specialista.

Con un logopedista è possibile, infatti, monitorare la situazione nel tempo e iniziare un Parent Training: ai genitori vengono mostrate attività specifiche da riproporre a casa con il figlio, al fine di potenziare le abilità linguistiche e comunicative del bambino.
È possibile così ridurre il rischio di sviluppare un disturbo di linguaggio.

Inaugurazione Studio Colibrì

Sabato 25 maggio 2019, ore 16.00, siete tutti invitati all’inaugurazione ufficiale di Studio Colibrì!

Questa giornata sarà l’occasione per conoscere i professionisti dello studio e le loro attività.

Ci sarà inoltre anche la possibilità per i vostri bambini di partecipare a due laboratori, tenuti dalle nostre collaboratrici:
– Ore 16.30 Laboratorio creativo “L’orologio delle emozioni
– Ore 17.00 Laboratorio “Giocando si impara

La partecipazione è libera e non sono necessarie prenotazioni.

Al termine dei laboratori ci riuniremo per una merenda e un brindisi, durante il quale presenteremo anche le attività estive e le proposte di Studio Colibrì per l’anno 2019/2020.

Vi aspettiamo!

BES: Bisogni Educativi Speciali

Con l’acronimo BES, Bisogni Educativi Speciali, si identificano tutti quegli alunni che richiedono un’attenzione scolastica particolare, per ragioni ampie e variegate.

Rientrano in questa categoria le situazioni di svantaggio sociale e culturale, i disturbi dell’età evolutiva, le difficoltà di apprendimento o quelle derivanti dalla differenza culturale o dalla non conoscenza della lingua italiana.

Per tutelare questi alunni, il cui status di BES può essere momentaneo o duraturo, è stata emanata una specifica Direttiva ministeriale, datata 27 dicembre 2012, “Strumenti di intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”. Tale circolare prevede che gli insegnanti individuino i bambini con bisogni educativi speciali, nei confronti dei quali possono personalizzare l’insegnamento, attraverso la definizione di un PDP, Piano Didattico Personalizzato, all’interno del quale vengono definiti specifici strumenti compensativi e misure dispensative che possono aiutare il bambino con Bisogni Educativi Speciali nell’apprendimento e non solo.

Con il termine strumenti compensativi, si intendono tutti gli ausili, cartacei o tecnologici, che riducono le difficoltà, senza facilitare il compito dal punto di vista cognitivo. Tra i principali, vi sono: computer e tablet, calcolatrice, sintesi vocali (voci artificiali che “leggono” al posto dello studente), registratori, programmi di videoscrittura con correttore ortografico, mappe concettuali, tabelle, formulari, vocabolari ecc.

Con il termine misure dispensative, si intendono tutte le attività dalle quali lo studente può essere esonerato a causa delle difficoltà. Si tratta di compiti che risultano particolarmente stancanti e che rischiano di privare lo studente di molte delle sue energie e/o di farlo sentire inadeguato, senza andare a migliorare il suo grado di apprendimento. Tra le principali, vi sono: dispensa dalla lettura ad alta voce in classe, dalla copia dalla lavagna, dalla scrittura dei compiti sul diario; interrogazioni e verifiche sempre programmate; tempi di svolgimento delle verifiche più lunghi del 30% o riduzione degli esercizi; riduzione dei compiti a casa.

ADHD: cosa significa?

Il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (DDAI o ADHD – Attention Deficit Hyperactivity Disorder) è uno dei più comuni disturbi evolutivi, la cui percentuale stimata si situa intorno al 2- 5%.

Si tratta di un disturbo evolutivo dell’autocontrollo di origine neurobiologica che interferisce con il normale sviluppo psicologico del bambino e ostacola lo svolgimento delle comuni attività quotidiane. Tale disturbo riguarda l’autocontrollo proprio perché molto spesso il bambino non riesce a orientare i propri comportamenti rispetto a quanto atteso dall’ambiente esterno.

L’ADHD si manifesta principalmente con una serie di sintomi, tra cui:

  • Deficit attentivo: i bambini con ADHD presentano soprattutto difficoltà nel mantenere l’attenzione nel tempo e nel passarla rapidamente da un compito all’altro. Ciò è dovuto all’incapacità di gestire adeguatamente l’attenzione secondo le richieste dell’ambiente (autocontrollo dell’attenzione).
  • Iperattività: eccessivo e inadeguato livello di attività motoria che si manifesta con una continua irrequietezza. I bambini con ADHD muovono continuamente le mani e i piedi, non riescono a stare seduti tranquillamente o a stare fermi quando le circostanze sociali lo richiedono.
  • Impulsività: incapacità ad aspettare o ad inibire risposte o comportamenti che in quel momento risultano inadeguati. Nei bambini con ADHD, l’impulsività si manifesta con eccessiva impazienza, grande difficoltà nel controllare le proprie reazioni e frettolosità nel rispondere alle domande degli insegnanti.

Spesso i primi sintomi dell’ADHD si manifestano intorno ai tre anni e le difficoltà aumentano con l’ingresso nella scuola quando al bambino vengono richieste maggiore regolazione del proprio comportamento, maggior concentrazione e impegno. Il disturbo tende a non recedere spontaneamente; spesso si ha, invece, una rimodulazione della sintomatologia che diventa meno invalidante ma permane in circa il 70% dei casi, almeno come un senso di irrequietezza e un deficit nell’attenzione sostenuta.

I bambini diagnosticati come ADHD hanno difficoltà ad organizzarsi e a pianificare compiti che richiedono sforzo mentale e concentrazione. Spesso dimenticano il materiale scolastico o la consegna relativa al compito a causa di altri stimoli che catturano la loro attenzione, con conseguente difficoltà nel ridirezionarla a ciò che stavano facendo precedentemente.

Altri bambini non presentano una specifica caduta attentiva, ma manifestano una microattività motoria costante caratterizzata da una necessità fisica e fisiologica di muoversi e da un’impulsività che può essere sia cognitiva che comportamentale.

Possono, inoltre, essere presenti sintomi secondari, dovuti spesso al non riconoscimento del disturbo e ad una mancanza d’intervento adeguato. Si tratta principalmente di: deficit cognitivi relativi all’elaborazione dell’informazione, difficoltà scolastiche, scarsa motivazione. L’ADHD presenta alta comorbilità con i disturbi dell’apprendimento, e con il disturbo oppositivo e provocatorio.

DSA: cosa significa?

Durante i primi anni di scuola primaria, tanti bambini possono manifestare difficoltà scolastiche di diverso tipo, che possono causare uno scarso rendimento. Queste difficoltà potrebbero essere dovute a scarsa motivazione nei confronti della scuola, immaturità, deficit cognitivo, ambiente scolastico non adeguato, ambiente familiare svantaggiato a livello socio/economico, deficit sensoriale, difficoltà nell’automatizzazione degli apprendimenti. In tutti questi casi, per il bambino, e per i genitori, fare i compiti può diventare molto difficile e causare litigi e discussioni. Ma in quali situazioni è lecito ipotizzare la vera e propria presenza di un Disturbo Specifico dell’Apprendimento?

I Disturbi Specifici dell’Apprendimento, comunemente chiamati DSA, sono disturbi che coinvolgono uno specifico dominio di abilità, lasciando intatto il funzionamento intellettivo generale ed interessando, quindi, le competenze strumentali degli apprendimenti scolastici.

Per poter fare una diagnosi di DSA, è necessario inizialmente escludere la presenza di:

  • Deficit Cognitivo: i bambini con DSA sono intelligenti!
  • Deficit Sensoriali: i bambini con DSA non hanno difficoltà a livello visivo e uditivo!
  • Svantaggio Socio-Culturale: i bambini con DSA hanno avuto un adeguato livello di istruzione scolastica!

I DSA sono quattro:

  • Dislessia: Disturbo Specifico della lettura, intesa come abilità di decodifica del testo;
  • Disortografia: Disturbo Specifico della scrittura, intesa come abilità di codifica fono-grafica e competenza ortografica;
  • Disgrafia: Disturbo Specifico nella grafia, intesa come abilità grafo-motoria;
  • Discalculia: Disturbo Specifico delle abilità di numero e di calcolo, intese come capacità di comprendere le quantità numeriche e di operare con i numeri.

Alla base dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento, vi sono disfunzioni neurobiologiche di tipo genetico, le quali vanno ad interferire con il tradizionale processo di apprendimento della lettura, della scrittura e del calcolo. A queste caratteristiche si vanno poi ad aggiungere specifici fattori ambientali, tra cui la scuola, l’ambiente familiare e il contesto sociale, i quali si intrecciano con quelli neurobiologici e contribuiscono a determinare il modo in cui il Disturbo può manifestarsi e il successivo vissuto emotivo della persona con DSA.

In Italia, la percentuale di bambini con diagnosi di DSA si attesta intorno al 3/5% della popolazione in età scolare.